Il diritto di sopraelevazione è disciplinato dall’articolo 1127 del codice civile:
«Il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare.
La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la consentono .
I condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio ovvero diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti. Chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota a lui spettante . Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare.»
«Occorre, invero, al riguardo sottolineare che se anche la costruzione sopraelevata fosse stata “condonata”, la relativa circostanza (di cui, oltretutto, non risulta esserne stata accertata la sussistenza da parte della Corte di appello) non avrebbe avuto rilevanza ai fini della valutazione della fondatezza dell’azione proposta dai C., avendo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 10082/2013) chiarito che l’art. 1127 c.c., comma 2, il quale fa divieto al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio condominiale di realizzare sopraelevazioni precluse dalle condizioni statiche del fabbricato e consente agli altri condomini di agire per la demolizione del manufatto eseguito in violazione di tale limite, impedisce altresì di costruire sopraelevazioni che non osservino le specifiche disposizioni dettate dalle leggi antisismiche, fondandosi la necessità di adeguamento alla relativa normativa tecnica su una presunzione di pericolosità, senza che abbia rilievo, ai fini della valutazione della legittimità delle opere sotto il profilo del pregiudizio statico, il conseguimento della concessione in sanatoria relativa ai corpi di fabbrica elevati sul terrazzo dell’edificio, atteso che tale provvedimento prescinde da un giudizio tecnico di conformità alle regole di costruzione. In ogni caso va ribadito che è pacifico il principio secondo cui la (eventuale) sanatoria o il condono degli illeciti urbanistici, inerendo al rapporto fra P.A. e privato costruttore, esplicano i loro effetti soltanto sul piano dei rapporti pubblicistici amministrativi, penali e/o fiscali – e non hanno alcuna incidenza nei rapporti fra privati, lasciando impregiudicati i diritti dei privati confinanti derivanti dalla eventuale violazione delle distanze legali o degli altri limiti legali di vicinato previsti dal codice civile e dalle norme regolamentari integratrici dello stesso codice (v. Cass. Sez. U. n. 11260/1992; Cass. n. 12966/2006 e Cass. n. 3031/2009).»
«Deve, invero, osservarsi che l’indennità di sopraelevazione prevista dall’art. 1127 c.c., comma 4, trae fondamento dalla considerazione che, per effetto della sopraelevazione, il proprietario dell’ultimo piano aumenta, a scapito degli altri condomini, il proprio diritto sulle parti comuni dell’edificio ed intende, perciò, compensare in parte i condomini, assumendo a parametro il valore del suolo occupato. L’indennità ex art. 1127 c.c., comma 4, configura, pertanto, un debito per responsabilità da atto lecito, e non per fatto illecito, ex art. 2043 c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12292 del 21/08/2003; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6643 del 22/05/2000). L’azione promossa dai condomini per ottenere il risarcimento dei danni contro il proprietario dello ultimo piano che abbia eseguito una sopraelevazione, per la compromissione della statica dell’edificio e del suo aspetto architettonico, o per la diminuzione di aria e luce ai piani sottostanti, deduce, pertanto, un credito risarcitorio autonomo e distinto rispetto a quello inerente all’indennità prevista dell’art. 1127 c.c., comma 4, la quale suppone l’accertata insussistenza dei presupposti del risarcimento; ne consegue che la domanda promossa per far valere il primo credito non può comportare implicito esercizio del secondo (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1694 del 03/05/1975).»
«Correttamente, al riguardo, la Corte di merito ha richiamato l’orientamento di questa Corte secondo il quale il divieto di sopraelevazione per inidoneità delle condizioni statiche dell’edificio, previsto dall’art. 1127 c.c., comma 2, va interpretato non nel senso che la sopraelevazione è vietata soltanto se le strutture dell’edificio non consentono di sopportarne il peso, ma nel senso che il divieto sussiste anche nel caso in cui le strutture siano tali che, una volta elevata la nuova fabbrica, non consentano di sopportare l’urto di forze in movimento quali le sollecitazioni di origine sismica. Pertanto, qualora le leggi antisismiche prescrivano particolari cautele tecniche da adottarsi, in ragione delle caratteristiche del territorio, nella sopraelevazione degli edifici, esse sono da considerarsi integrative dell’art. 1127 c.c., comma 2, e la loro inosservanza determina una presunzione di pericolosità della sopraelevazione che può essere vinta esclusivamente mediante la prova, incombente sull’autore della nuova fabbrica, che non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia idonea a fronteggiare il rischio sismico (v. Cass., sent. n. 3196 del 2008).»
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